Che poi alla fine so' cazzate eh, soprattutto per l'atleta amatore che pensa prevalentemente ad allenarsi per i suoi risultati, però un recap per avere una visione generale ed attuale del mondo della triplice non guasta mai, e allora ci pensa Strong a farvi questo recap.
Il più eclatante forse è stato il caos organizzativo al T100 di Dubai, una gara dove i primi tre in bici hanno fatto un giro in più e gran parte del gruppo a piedi un giro in meno. Risultato: classifiche ricostruite a posteriori, gara decisa su un passaggio intermedio e scuse pubbliche della PTO, con la promessa che non sarebbe più successo. Un evento pensato per essere vetrina, diventato invece promemoria di quanto basta poco per trasformare una gara in una sagra di paese.
Hayden Wilde, già dentro quel caos, ha avuto anche la grana delle scarpe: vittoria al T100 French Riviera con un modello non ancora autorizzato in quel momento. Ha parlato di errore in buona fede e responsabilità personale; la World Triathlon ha riconosciuto la violazione, ma ha spiegato di non poter aprire una procedura perché i tempi di protesta erano scaduti e le regole limitavano l’azione sul tema “equipaggiamento”. In pratica, conto fino a tre: uno, due, due e mezzo, due e tre quarti...
E siccome non ci facciamo mancare niente, ci sono state anche le controversie più “classiche”, quelle da fotofinish e cartellino. A Jönköping, Europeo 70.3, due tedesche arrivano appaiate: Meissner sembra passare prima, poi a seguito di protesta la vittoria viene ribaltata per un’involontaria interferenza, poi ancora appello e la federazione svedese reintegra Meissner campionessa. Tre verità nello spazio di poche ore, come se il traguardo fosse un’opinione. A Francoforte, Ditlev riceve una chiamata per littering in un aid station, rifiuta di fermarsi per la penalty, l’ufficiale tira fuori addirittura il rosso e lo squalifica lì, sul momento, e Ditlev reagisce come reagirebbe qualsiasi Age Group: sbrocca imprecando davanti a tutti con un vocabolario degno del peggior amatore di categoriaM2. Poi la squalifica viene annullata e lui tiene l’ottavo posto. Il punto comunque non è l'eloquenza di Ditlev, ma che in uno sport dove la regola è tutto, applicarla male è peggio che non applicarla.
Sul fronte age-group, IRONMAN ha cambiato in corsa il nuovo sistema di qualificazione per Kona: nato per premiare sia i vincitori di categoria sia i migliori “relativi” nel performance pool, è stato ritoccato perché, nella pratica, alle donne stavano arrivando meno slot e molte venivano rifiutate, riducendo ulteriormente la quota femminile. La correzione ha separato gli slot del performance pool per genere e ha persino introdotto assegnazioni retroattive. Una toppa necessaria, ma che ha ricordato quanto sia delicato modificare le regole mentre la gente ha già pianificato i proprio obiettivi. Da "anything is possible" a "something is possible".
E infine, arrivano le regole tecniche, prima sul discorso "draft": il RaceRanger ha smesso di essere “un esperimento” ed è diventato, di fatto, parte dell’arbitraggio. Sensori e unità sulla bici trasformano la distanza tra atleti in un dato, non in una valutazione empirica rendendo più facile individuare chi sta troppo a lungo nella zona di scia e riduce le discussioni infinite. Poi su idratazione e storage: World Triathlon e IRONMAN aggiornano le norme su borracce e contenitori, poi arrivano interpretazioni, poi altre interpretazioni: scatole immaginarie 30x30 dietro, limiti davanti (due litri massimo, dimensioni, distanze, ecc.), eccezioni per i box integrati nel telaio, restrizioni ulteriori della federazione tedesca.
Il tutto mentre il resto del mondo pensa che il triathlon sia “nuoto, bici, corsa” e basta. No, è anche “dove posso mettere la borraccia senza essere scomunicato”.
Complicazioni su complicazioni, quando invece per attirare la gente, gli atleti, i "grandi numeri", bisognerebbe solamente semplificare.
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