Nella vita di ogni coach che cresce e lavora bene, arrivano il punto in cui sei costretto a dover rinunciare a qualche atleta, perchè sei "pieno" e non ti va di rinunciare alla qualità per la quantità.
Ed è lì che capisci che non puoi più restare un io solitario: devi iniziare a diventare noi.
Coinvolgere un altro coach è quasi un atto intimo.
Lo scegli, lo formi, gli affidi un atleta.
E quando quell’atleta ti scrive: “Mi trovo benissimo con lui!”, senti una gioia enorme… ma diciamoci la verità, anche un piccolo pizzico di gelosia professionale.
Ed è normalissimo.
È proprio lì che devi fare lo scatto mentale: capire che senza fiducia non hai un collaboratore, hai un fantasma.
Innanzitutto deve esserci il rispetto reciproco, soprattutto da parte del coach "anziano" che non deve andare ad intaccare il terreno di quello "giovane", soprattutto per non sminuire il suo lavoro davanti ai propri atleti.
Il messaggio che deve passare non è che il nuovo allenatore sia un'alternativa a voi, ma che sia UNA SCELTA (ricordate il post che ogni allenatore deve essere quello perfetto per ciascun atleta?).
E dunque non deve pensare come te, non deve parlare come te.
Condivisione orizzontale: deve completarti, anche nelle differenze.
Un team di coach funziona quando ci si confronta alla pari, quando si
scambiano idee, dubbi, intuizioni, quando nasce un linguaggio comune che
non cancella le identità.
Se lo scegli bene porta competenze che tu non hai.
Se lo formi bene diventa più forte di te nel suo campo.
E se ti fidi davvero gli lasci lo spazio per dimostrarlo.
La verità è che cresce lui e cresce il team.
E se cresce il team, cresci anche tu.
E lL’ambiente che costruisci dentro il tuo team si riflette ovunque: nella soddisfazione degli atleti, nella fedeltà dei collaboratori, nella qualità del lavoro... e sì, anche nelle cene di squadra!
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