martedì 8 luglio 2025

Guidare un atleta nel mezzo di una tempesta

 

C’è un momento, nel lavoro di un coach, in cui la prestazione va a puttane.

Dove i watt, i secondi al km, la soglia, i carichi, le tabelle… non contano più un cazzo.

È il momento in cui l’atleta sta male.

Non male nel senso “oggi non mi gira”, ma male nel senso “sto vivendo un casino emotivo vero, grosso, profondo”.

E tu, in quel momento, non sei più un allenatore.

Sei uno che deve decidere: scappo o resto?

Se resti, non alleni.

Accompagni.

L’allenamento, per un atleta, non è solo un modo per diventare più forte.

È l’argine che tiene in piedi tutto il resto.

Quando arriva una crisi – un lutto, una rottura, una perdita di lavoro, una batosta – tutto scricchiola.

Ma se resta l’allenamento, resta anche una parvenza di normalità.

Non devi spingere sulla performance.

Devi tenere la luce accesa nel corridoio mentre fuori è buio pesto.

Allenare un atleta in crisi non ti farà vincere medaglie.

Non avrai foto da "SUB10" da postare.

Ma forse, tra dieci anni, sarà l’atleta stesso a dirti “In quel periodo non ho mollato grazie a te.”

Ecco, lì capirai che il tuo lavoro è molto più che costruire prestazioni.

È (anche) custodire vite mentre si rompono.

E accompagnarle finché ricominciano.

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