Mettiamo che ti do un lavoro di ripetute di corsa, 8x1000, a un passo definito.
E' chiaro che da un determinato allenamento mi aspetto che la gestione di quel passo possa essere adeguata a una risposta cardiaca congruente.
Naturalmente non è sempre così, per vari fattori, non necessariamente positivi o negativi: possono esserci variabili climatiche, di recupero/stanchezza, di cattiva interpretazione di una parte dell'allenamento che si ripercuote sul resto, ma tutto questo fa parte del lavoro di analisi di un allenatore che deve interpretare, capire, rimodulare e equilibrare il tutto costantemente.
Oltre questo però, c'è un grande ostacolo.
Tutto il feedback, tutte le sensazioni che l'atleta NON dice o distorce, più o meno volontariamente.
Tutti elementi che rischiano di compromettere un'analisi anche attenta di un allenatore.
Vi assicuro che capita molto più frequente di quanto si pensi, in ogni tipo di atleta.
Silenzi o distorsioni che servono (almeno nella testa dell'atleta) a non deludere il coach, ad autoconvincersi che il problema sia un altro (anche solo che NON ci sia un problema), a soddisfare le PROPRIE aspettative.
Attenzione, tutto questo è parallelo e non necessariamente collidente con il rapporto PERSONALE con il coach.
Ma qui purtroppo, nonostante tutte la bella filosofia che infilo nei miei post sul rapporto coach/atleta, non ce se po' fa' un cazzo!
Il coach deve alzare bandiera bianca.
Il coach ha necessariamente bisogno di un'apertura totale dello stato dei suoi atleti perchè altrimenti, statene pur certi, qualsiasi risultato sarà monco.
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